IL TERREMOTO

TRA LEGGENDA E SCIENZA

di Ettore Mastrogiacomo

 

Noi non conosciamo le forze che si muovono sotto i nostri piedi, tutto il bagaglio delle nostre conoscenze del pianeta Terra riguarda le pressioni, le onde sismiche, il magma, le rocce, le zolle tettoniche, la deriva dei continenti, ma resta un mistero come tutte queste energie interagiscono tra loro.

I terremoti sono da considerarsi tra i fenomeni naturali più spaventosi per l'uomo, e quelli di cui si ignora ancora molto. Il terremoto trova la sua prima origine proprio nella stessa costituzione della Terra, pianeta in piena evoluzione soggetto a mutamenti continui, responsabili diretti dei fenomeni tellurici.

Sui terremoti sono stati raccontati per secoli superstizioni, ipotesi, credenze più o meno stravaganti. Una delle credenze popolari diffusissima tra le primitive tribù era che un animale da soma sorreggesse la Terra sul dorso e che, muovendosi, provocasse terremoti. Nelle isole di Bali e di Flores, fra i selvaggi del Borneo, sulla costa occidentale della penisola Malacca, in Bulgaria e fra i musulmani di Costantinopoli, l'animale che aveva sul dorso la Terra era il bufalo, che provocava il terremoto quando, stanco del grosso fardello, spostava il proprio peso, appoggiandosi ora su uno ora sull'altro piede.

Fra gli indiani dell'America del Nord era invece la tartaruga. Nelle isole Celebes, il maiale: quando il suino si strofinava contro un palmizio, si verificava il terremoto. Nelle Molucche il serpente, in Persia il granchio. I Lama della Mongolia non si stancavano di rassicurare i loro devoti che la Terra era in buone mani: dopo averla creata, Dio l'aveva posta sul dorso di un'enorme rana. Ogni volta che l'animale scuoteva il capo o stendeva una delle zampe, dava origine ad un terremoto, esattamente al di sopra del punto dov'era avvenuto lo spostamento.

I bramini dell'India avevano due diverse teorie: quella che credeva negli animali come sostegni della Terra e quella che immaginava la Terra galleggiante sull'acqua. Le due teorie erano collegate da un fatto: Visnù, la seconda persona della Trinità indù (le persone della Trinità indù sono: Brahama, Visnù e Siva), dopo aver ucciso il serpente che aveva rubato il nostro pianeta, riuscì a ritrovare la Terra e la restituì all'acqua a cui apparteneva. La Terra invece di galleggiare, come aveva fatto quando era stata creata da Brahama, si abbassava e incominciava ad affondare. Immediatamente Visnù corse ai ripari, comandò che i sette serpenti, incaricati della guardia, si dessero il cambio per sostenere la Terra. Ma, ogni qualvolta che uno dei serpenti veniva a prendere il suo turno, si avvertiva il terremoto. Passando da una spalla all'altra, o meglio da un dorso all'altro, la Terra tremava.

Troviamo l'immagine di una Terra galleggiante sull'acqua anche in Occidente, negli scritti di due filosofi, il romano Seneca e il greco Talete. Raccontano di una nave terrestre che galleggia, poi improvvisamente beccheggia, imbarca acqua: è il terremoto. La stessa immagine è rappresentata in molte leggende raffiguranti il pesce che regge la Terra, come per esempio, il biblico Leviatano, il mostro marino della leggenda ebraica. Presso i Masai, popolo dell'Africa orientale, vige tuttora questa invenzione poetica del folklore sismico. Nell'immenso universo nuota un pesce di nome Chewa, reca sul dorso una pietra su cui sta una mucca che regge la Terra su una delle due corna; quando la mucca è stanca e sposta il suo carico pesante sull'altro corno, si manifesta il terremoto.

I Greci, com'è noto, ponevano il mondo sulle spalle di Atlante, un essere fantastico, dotato di una forza eccezionale. Gli aborigeni dell'antico Messico credevano che la Terra fosse piatta e riposasse sulle spalle di alcune divinità: quando queste, evidentemente per riposarsi, spostavano il loro peso da una spalla all'altra, la Terra tremava. Fra gli aborigeni della California meridionale il compito di sostenere la Terra era attribuito a sette giganti. Ancora esistono alcune tribù della Colombia, nell'America del Sud. che credevano, e forse ci credono ancora, che la Terra fosse originariamente appoggiata su tre travi che terminavano in una foresta vicina. Un bel giorno il dio Chbchacum volle fare uno scherzo agli abitanti del luogo e inondò la pianura di Bogotà. "Non devi farmi più questi scherzi", gli urlò dio Bochic, e per punizione ordinò a Chbchacum di portare da quel giorno in poi il Mondo sulle spalle. Questo pesava e, per stare più comodo, il dio si adagiò, ma il peso era uguale. Quando il dio si girava sull'altro fianco per riposarsi scuoteva tutte le cose presenti sulla Terra, provocando il terremoto.

Presso alcune tribù dell'Africa occidentale, e in particolare nella Senegambia, era diffusa la credenza che Dio-Padre, dopo aver creato la Terra, l'avesse posata sul capo di un gigante: gli alberi, le coltivazioni e tutto quanto cresceva sulla Terra erano i suoi capelli, mentre gli esseri animati, a cominciare dagli uomini, erano i suoi parassiti, pidocchi e generi affini. Ecco alcuni particolari: quando la Terra fu posta sul suo capo, il gigante stava seduto col viso rivolto a oriente di quando in quando, si volgeva verso occidente, ma così dolcemente che nessuno se ne accorgeva. Soltanto quando si volgeva di nuovo a oriente, combinava il disastro: sconvolgeva le case, sradicava gli alberi, insomma cagionava una rovina generale. Ecco perché i santoni affermavano che le scosse più forti provenivano sempre da occidente.

I Manichei credevano che la Terra si reggesse sulle spalle del gigante Homophoros e che tremasse quando egli combatteva contro il gigante Splenditenens. Gli antichi popoli dell'Uganda, in Africa, affermavano che la Terra poggiava su uno scoglio del lago Vittoria, dove abitava un figlio di Musasa, dio del lago: quando questo camminava più velocemente, lo scoglio tremava e di conseguenza anche la Terra vibrava. Presso altre tribù la Terra era una specie di disco, sorretto da un lato dal monte Lugulu, dall'altro dal gigante Nyanu Tipinwa. Il gigante aveva una bella moglie, Fumyolo, che aveva il compito di sostenere il cielo. Quando Nyanu accarezzava Fumyolo, la terra tremava.

In Lettonia, si credeva che la Terra fosse retta dal dio Dredkhuis e che questi, muovendosi, ne determinasse le scosse telluriche.

In un'isola presso Sumatra, si era sicuri che a reggere il nostro pianeta fosse uno spirito maligno, Ba-Ovando, il quale faceva tremare la Terra per punire gli abitanti che non gli offrivano i necessari e opportuni sacrifìci.

Più gentile è senz'altro una leggenda rumena, secondo la quale la Terra era sostenuta da tre colonne: Fede, Speranza e Carità. Se una di queste virtù veniva meno sulla Terra, logicamente la colonna corrispondente vacillava, la Terra perdeva il suo equilibrio e tremava. Doveva accorrere subito Dio Padre Onnipotente per ripristinare la giusta stabilità.

In Sicilia invece si credeva che un ebreo, per aver percosso Gesù mentre saliva sul Calvario, fosse stato condannato a girare senza posa quella colonna di ferro che è l'asse materializzato del nostro pianeta. La penitenza doveva durare fino al giorno del giudizio universale. Capitava però che di tanto in tanto l'ebreo, stanco e disperato, cercasse di porre termine al suo tormento, colpendo la colonna di ferro nella speranza che la Terra crollasse.

Nell'antico Egitto la Terra era considerata come un piatto circondato da una catena di montagne e sorretto da un grande smeraldo. I riflessi di questo smeraldo facevano apparire azzurro il cielo e, quando Dio voleva scatenare un terremoto, comandava allo smeraldo di scuotere le radici della Terra. Per fortuna c'era la catena di montagne che proteggeva il piatto e aveva la funzione di cingerlo, altrimenti il terreno sarebbe stato scosso in continuità.

In Birmania, al posto della catena di montagne, alcune tribù aborigene credevano che la Terra avesse una cintura di serpenti, che quando uno di essi scambiava la propria coda per una preda e si metteva a inseguirla nella speranza di procacciarsi il cibo, provocava il terremoto.

Per trovare una personificazione del nostro pianeta, bisogna risalire ai Greci e ai Latini. Il filosofo Seneca narra che molti suoi colleghi consideravano la Terra come un essere vivente, con tutti i vizi, le virtù, le debolezze e i tremori degli essere viventi. Il poeta latino Ovidio racconta che, quando il Sole si avvicinò un giorno troppo alla Terra, a causa di una manovra errata di Febo al suo cocchio, la Terra arse in superficie, poi tremante di spavento, cercò di proteggersi con la mano. Aristotele si serve della stessa immagine, quando paragona i movimenti sismici al tremito di una persona in preda ad un attacco febbrile. Stranamente troviamo le stesse immagini presso alcune tribù del Mozambico: i Cafri. Al tempo di un grave terremoto, avvenuto il 22 agosto del 1891, raccontarono a un missionario che la Terra aveva i brividi di febbre. In Perù si racconta che, quando la Terra danzava, avvenivano i terremoti.

Organizzati com'erano, i Greci avevano istituito per gli dei dell'Olimpo un vero e proprio Ministero delle acque. A presiederlo era stato chiamato Posidone, il Nettuno dei Romani. Ovvio che, dato il gran numero di scosse sottomarine, la giurisdizione di Posidone si estendesse anche ai terremoti. Di qui la beffa che si legge nel racconto di Senofonte. Un bel giorno Posidone scatenò un tremendo terremoto che fece fuggire il re Adige dal suo talamo coniugale, costringendolo a non tornarvi più, tanto che gli altri dei furono indotti a considerare suo figlio Agesilao come un bastardo.

Nel libro IV dei Meteorologia, Aristotele di Stagira (384-322 a.C.) studiò, confutò, riassunse e infine sintetizzò le varie teorie sulle cause dei terremoti. Dovette naturalmente prima rifarsi ai suoi predecessori, e in modo particolare ad Anassagora e a Democrito. A quanto pare, Anassagora riteneva che l'etere agitasse senza sosta la Terra. L'etere penetrava nelle parti superiori della Terra, disciolto nell'acqua piovana: la Terra, di cui parlava Anassagora, era divisa in una parte superiore abitata, che galleggiava su una parte inferiore gassosa. Anassagora affermava inoltre che la parte conosciuta della Terra abitata era curva, sferica, accidentata. Tuttavia le sue idee intorno alle cause dei terremoti, quali ci sono pervenute attraverso Aristotele, non sono esposte con particolare chiarezza. Restano nella nebbia "eterea" della sua immaginazione.

Più chiaro è senz'altro Democrito, che credeva la Terra potesse capace di d'acqua e che i terremoti avvenissero quando l'acqua eccedente si spostava da una parte all'altra. Un altro filosofo greco, Anassimene collegava l'evento sismico con un eccesso di siccità o di pioggia. Quando la Terra era eccessivamente asciutta, si spaccava; quando eventi meteorici particolarmente intensi la bagnavano, si sgretolava.  

Non si può negare tuttavia a questo filosofo un merito: quello di avere intravisto per primo una relazione tra terremoti e fenomeni meteorologici. Affermare che i terremoti sono una conseguenza della siccità, è oggi un'assurdità, ma che pioggia e siccità abbiano qualche nesso con lo scatenarsi dei terremoti, questa è una teoria che è tuttora in discussione tra i sismologi contemporanei.

Aristotele invece riteneva che il terremoto si sviluppava dall'aria imprigionata dalla Terra: l'aria entrava in quantità eccessiva, lasciando l'atmosfera depressa, ma dovendo necessariamente fuoriuscire, per ristabilire l'equilibrio, provocava il terremoto. Tracce di questa ardita teoria aristotelica si trovano nell'Enrico IV di Shakespeare. Dice un personaggio, Hotstur: "La natura inferma prorompe spesso in strane eruzioni; sovente la feconda terra è tormentata da una specie di colica, a motivo dei venti impetuosi, imprigionati nel suo ventre, i quali facendo forza per uscir fuori, scuotono l'antica madre e abbattono i campanili e le torri coperte di muschio".     

Aristotele, a suffragio della sua tesi, spiegava come i terremoti fossero più frequenti nel periodo delle eclissi solari: affermazione che la scienza moderna ha dimostrato che non è affatto vera. E inoltre spiegava come i terremoti potessero verificarsi più frequentemente durante una tempesta: il che solitamente non accade. Tuttavia la "fortuna" di Aristotele è stata grande nei secoli ed era celebre in tutti i continenti. Il sismologo giapponese Omori, convinto che "aristoteliche" fossero le cause che provocano i terremoti, investigò in quali condizioni i fenomeni tellurici si fossero verificati. Assunse a campione diciotto terremoti catastrofici tra il 1361 e il 1891 e giunse a queste conclusioni: tempo bello e sereno per dodici terremoti; nuvoloso per due; piovoso o nevoso per tre; piovoso e ventoso per uno; umido e afoso, secondo l'espressione di Aristotele, nessuno. Tuttavia questa credenza vige ancora: tempo afoso, si dice, è tempo di terremoti.

Una spiegazione aristotelica del catastrofico terremoto del 10 marzo 1933 a Long Beach in California, noto come terremoto di Los Angeles, si ritrova nel rapporto ufficiale redatto dal prof. Charles C. Conroy, fatto in collaborazione con l'Osservatorio Meteorologico di Los Angeles: "Data la diffusione della credenza popolare che i terremoti siano in relazione con particolari condizioni metereologiche", così esordisce il rapporto, "non sarà senza interessi una descrizione esatta delle condizioni appunto meteorologiche di Los Angeles nei giorni 10 e 11 marzo 1933". Ebbene in detti giorni non comparve nulla di eccezionale che facesse presagire un fenomeno tellurico. Il resoconto narra infatti di due giornate alquanto brumose, con una temperatura massima di 21 °C e una umidità relativa leggermente superiore alla media, comunque non eccessiva. Nel tardo pomeriggio, una specie di bruma bluastra, simile a un velo di fumo, si sarebbe addensata nell'aria: alle 16,45 una cortina di nuvole avanzò rapidamente negli alti strati dell'atmosfera da ovest; alle 17,10 aveva completamente coperto il cielo. Questa cortina persistette fin dopo le 18,45, poi si diradò lentamente e nella serata la luna brillò con crescente splendore. Il terremotò si verificò alle 17,45, in condizioni che non apparivano per nulla anormali e che non potevano essere messe in relazione con l'evento catastrofico. Il celebre Aristotele era anche qui sconfessato dai fatti.

Dove non arrivava la scienza, a giustificare i terremoti, giungevano le minacce dei visionari e dei profeti.

Nel Medioevo si pensava che i vapori sotterranei, causa di terremoti, subissero l'influsso delle stelle, particolarmente di Marte e di Giove. Nel 1935 comparve a New York un profeta che fondava le sue "predizioni" di terremoti sulle congiunzioni di corpi celesti, alla maniera di Konrad von Megenburg, vissuto nel 1359.

Nel 1682 nacque una specie di teoria scientifica, che postulava l'esistenza di un meccanismo a cui apparteneva un angelo vendicatore che percuoteva l'aria, producendo una musica: le vibrazioni del suono si trasmettevano alla Terra. Di qui il cataclisma. All'inizio del secolo XVIII si affermava testualmente: "La verga purificatrice non è diretta verso nudi scogli e spiagge deserte, ma verso borgate e città, dove esistono abitanti che si sono meritati questo castigo".

Il terremoto a questo punto entra in una specie di strategia divina della tensione: il terremoto come castigo, il terremoto come vendetta degli dei, il terremoto come purificazione, il terremoto come riscatto, il terremoto come argomento di persuasione, il terremoto come evangelizzazione.

I sacerdoti di ieri spesso si sono avvalsi di queste teorie per incutere nei fedeli il timore di Dio. Il reverendo John Cotton nel XVIII secolo scrisse un opuscolo dal titolo "II santo timore di Dio e dei Suoi giudizi", e il 3 settembre del 1727, in un giorno di digiuno e di preghiere a Newton (Massachusetts) in occasione di un terribile terremoto che sconvolse la Nuova Inghilterra, si tenne un sermone proprio su questo argomento. In un altro sermone, tenuto dal reverendo John Barnard in occasione dello stesso terremoto nella Nuova Inghilterra, si trovano riassunte le varie idee comuni che circolavano nel XVIII secolo circa le cause dei terremoti:

"Per terremoto non deve intendersi il movimento costante e generale della Terra col quale, come si sa, essa compie la sua rotazione diurna intorno al proprio asse; per terremoto non deve intendersi nemmeno il movimento annuale secondo l'orbita fìssa; ma devono intendersi invece le scosse particolari, impresse a una parte o all'altra della Terra, che comunicano qua e là alla sua superficie un moto insolito e violento, che si trasmette talora in senso ondulatorio, come l'accavallarsi delle onde del mare; altre volte tali scosse provengono più direttamente dal centro, di modo che la Terra si solleva finché esplode e inghiotte nel baratro che si spalanca tutto quanto le è vicino.... "In quanto alle cause di un terremoto possono considerarsi o naturali o soprannaturali...". Non è da escludere - dice il sermone - che nella Terra esistano antri e caverne "contenenti venti e acque o l'uno e l'altro".

Così prosegue: "Ne troviamo di piccole quando scaviamo i pozzi", poi "ci sono fuochi sotterranei nelle viscere... Questi fuochi, avvicinandosi alle caverne, devono imprimere loro una violenta agitazione, come la fiamma sotto un recipiente fa bollire l'acqua". Succede pertanto che "il vento e l'acqua, messi violentemente in noto dal calore, cercano una via d'uscita e lo spazio per espandersi"; di qui le conseguenze: "La superficie della Terra viene messa in movimento", è il terremoto. Per quanto concerne gli effetti: sono molteplici, dice il sermone: "Talora le case oscillano... mentre le imbarcazioni sulle acque sentono le scosse come se rotolassero sopra un fondo pietroso o come se cozzassero contro zattere apparse improvvisamente..." E ancora: "Qualcuno pensò che il terremoto dia sfogo a velenosi fumi sotterranei, i quali possono provocare malattie pestilenziali". Il reverendo aggiunge: "Quando arriva un terremoto, è il Signore degli eserciti che lascia un segno della sua Visita... Iddio ci ha visitato questa settimana col suo tremendo Giudizio". L'autore de "II santo timore di Dio e dei Suoi giudizi", entrando nei particolari aggiunge: "Come fu terribile la prima improvvisa scossa avvenuta nella notte dell’ultimo giorno del Signore, poco avanti le undici, quando la maggior parte di noi era letto e fummo svegliati dal più spaventoso boato e terrificati dall'oscillare delle nostre case, dallo strepito delle finestre e delle porte, mentre la terra tremava sotto di noi, e tante furono le scosse che si ripeterono da quel momento, giorno e notte accompagnate da rumori meno paurosi".

Altro opuscolo, sempre sui terremoti, quello del reverendo Thomas Prince, uno dei pastori della South Church di Boston. Data di pubblicazione: 1755. Titolo dell'opuscolo: "I terremoti sono opera di Dio e monito del Suo giusto biasimo. Discorso su questo argomento in cui è avvenuta una particolare descrizione di tale terribile evento voluto dalla Provvidenza". Testo del discorso, più o meno questo: Dio fa tremare la Terra perché è indignato, corrucciato, con i nervi a fior di pelle. “Allora la Terra fu scossa e tremò; anche le basi delle montagne si mossero e tremarono, poiché Egli era sdegnato".

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da “Il Terremoto tra leggenda e scienza” di Ettore Mastogiacomo

 

Si ringrazia per averci fornito questo materiale, oltre l'autore, la professoressa Cecilia Coppola

presidente della Cypraea